L’ecologia organizzativa riguarda il modo in cui ci relazioniamo alla vita nella pluralità dei suoi aspetti.
Gli individui, nelle loro vicende private e professionali, devono far stare insieme più competenze ed esperienze. Dal fare la spesa al coordinare un gruppo di persone, dal giocare con i figli al programmare le prossime mosse – si giostrano ogni giorno fra più ruoli – genitore, figlio/figlia, fratello/sorella, responsabile/dipendente, coordinatore/coordinato, venditore/acquirente).
Lo stesso accade nella vita di gruppo all’interno delle aziende, delle famiglie, ma anche delle scuole e delle istituzioni.
La moltitudine e la complessità dei ruoli viene spesso “incanalata” in direttive e sistemi di controllo dall’alto dei processi e dei risultati – con effetti alienanti per il singolo come per il gruppo, sempre più frammentato e diviso da logiche necessariamente in conflitto fra loro.
Lo sguardo politeista è in grado di aiutare a gestire quella che il filosofo contemporaneo Edgar Morin chiama l’era della complessità.
Per farlo, servono innanzitutto due strumenti propri della poesia: la metonimia – la capacità di vedere una cosa come parte di un sistema più grande – e la metafora, la capacità di simboleggiare laddove l’io tende a letteralizzare.
Vedere gli aspetti della vita, così come le persone di un gruppo, in chiave immaginale e quindi estetica, significa vederle come divinità, antenati, personaggi in scena, che raccontano una storia, un mito che si può riconoscere, vedere, riscattandosene e liberandosene.
“Noi viviamo nel tempo ciò che gli dei vivono nell’eternità”, scrive Hillman, secondo cui ogni mette sulla scena della vita un mito e ognuno si riscatta e si risolve quando scopre il mito che sta mettendo in scena.
L’applicazione della visione politeista insita nella psicologia archetipica, nelle costellazioni famigliari, nonché in molte tradizioni spirituali politeiste, permette di vivere i vari frammenti della nostra vita come parti di un’unica immagine ologrammatica, in cui ogni parte è uguale al tutto.
Il buddismo esoterico ricorre alla “Grande Imago” per designare l’immagine che l’Anima crea allo scopo di farci vivere determinate esperienze. Per l’Anima tali immagini sono simultanee, avvengono tutte nello stesso momento. È la mente che le separa, perché non può coglierle tutte insieme.
La vita ben temperata
L’aggettivo “ben temperato”, che ricorre spesso nel sito, si rifa all’espressione “anima ben temperata” riferita a Marsilio Ficino, un life coach ante litteram alla corte fiorentina dei de Medici ed esponente di quel movimento rinascimentale che ha riscoperto la letteratura e il mito greco antico.
Ficino cita spesso il mito del giudizio di Paride, costretto dagli dei olimpici ad eleggere la divinità più bella tra Atena, Afrodite ed Era. Paride sceglie Afrodite, ottiene la bella Elena in sposa e crea il pretesto per lo scoppio della guerra di Troia, simbolo dei conflitti che si generano inevitabilmente con le divinità quando non vengono riconosciute.
Proprio come nel mito greco, che secondo Hillman è alla base del nostro immaginario occidentale, in qualsiasi pantheon politeista le divinità sono simboli di esperienze primarie che la psicologia del profondo chiama “archetipi”.
Non c’è nulla di sbagliato nel darsi al piacere e alla bellezza – esperienze legate ad Afrodite: semmai l’errore di Paride è quello di eleggerne gli aspetti in modo assoluto, escludendo di fatto gli altri – Era è l’esperienza della vita matrimoniale e domestica e Atena l’esperienza della strategia militare, che scartando oltraggia.
Per Ficino, di fronte a una scelta fra dei, bisogna sceglierli tutti. Cosa significa? James Hillman, fondatore della psicologia archetipica, suggerisce che le divinità non chiedono di essere adorate bensì riconosciute e che questo riconoscimento debba avvenire costantemente, nel momento in cui esse si manifestano attraverso gli eventi. Riconoscendone una, scrive, di fatto le riconosciamo tutte.