Sono particolarmente contento di aprire e inaugurare il centro olistico e spirituale africano a Manerba del Garda, e di favorire attraverso di esso lo scambio tra culture e l’esplorazione delle radici spirituali, che questa cultura porta con sè.
Per me Manerba è sempre stato un luogo dove tornare e trovare un senso di pace e di casa diverso dagli altri luoghi in cui ho vissuto (Brescia e il suo hinterland e, durante gli studi, Bergamo, Milano, Mosca e l’Estonia).
La stanza d’ingresso del centro è lo spazio fisico in cui è nata mia madre. Ad esso è stato connesso, durante una ristrutturazione lo spazio che una volta ospitava la stalla e dove, quando ero piccolo, venivo in vacanza insieme a mia madre, mio padre, mio fratello e mia nonna.
Mia madre Maria desiderava ardentemente tornare a vivere a Manerba, da cui si era allontanata quando si è sposata, ma che era sempre rimasta nel suo cuore (tanto da conservare la casa). Negli ultimi anni della sua vita, ha avviato la ristrutturazione di questa casa, terminando i lavori e arredando il primo piano e portando a buon punto i lavori negli altri piani. Purtroppo ha lasciato il corpo prima di realizzare il suo sogno di venire ad abitare a Balbiana e di trascorrere qui la vecchiaia.
Il ramo materno della mia famiglia proviene da due paesini limitrofi sulla sponda bresciana del lago di Garda.
Sia mia madre che mia nonna mi raccontavano spesso dei miei bisnonni e anche di antenati più lontani – delle loro vicende alle prese con guerre, carestie, malattie, lavoro nei campi. Un ingrediente comune a molti di questi uomini e queste donne forti e coraggiosi era la fede religiosa. La nonna era una fervente e assidua frequentatrice di chiesa e conosceva tutti i passi della liturgia cristiana (c’è chi dice che avesse preso i voti e fosse addirittura suora in clausura, prima di sposarsi e partorire mia madre – c’è un po’ di confusione a riguardo).
Mia madre, invece, più di una volta mi raccontò, in maniera del tutto decontestualizzata, di essere affascinata dall’animismo. Non sapeva né spiegarmi cosa fosse né per quale motivo, ma c’era in lei questo collegamento che poi le strade della mia vita mi hanno portato a scoprire ed esplorare. Avrebbe desiderato molto viaggiare in Africa, ma non ne ha mai avuto occasione.
Diventare sacerdote di una tradizione spirituale animista africana, qui, proprio in questo luogo, è per me fonte di gioia e di soddisfazione che vanno oltre me stesso.
Sento di realizzare numerosi altri compiti che mi porto nel sangue, come l’aspirazione di mia nonna – di dedicarsi alla vita spirituale – e di mia madre – di terminare la ristrutturazione di questo appartamento, e forse ancora di più di visitare l’Africa e approfondire l’animismo.
In un certo senso, l’Africa più spirituale è venuta qui, nella casa dove lei è nata dal grembo di mia nonna.
Penso che ciascun individuo sia chiamato a completare, o continuare, ciò che i propri avi hanno iniziato. Quando questo avviene, si smette di lottare (con gli antenati stessi) e ci si sente appagati, realizzati, completati. Quale pochezza di significato danno il semplice realizzare gli scopi e le mete che rincorrono tutti?
Sento di pacificare il conflitto di queste due donne nei confronti del matrimonio e del senso della famiglia, che hanno comportato per mia madre l’allontanamento dal luogo natale (e forse la rinuncia a visitare l’Africa) e per mia nonna rinunciare alla vita spirituale per il matrimonio.
Non sarei mai diventato un sacerdote cristiano – ma un sacerdote africano sì, perché è più artistico e più fecondo (e ammette il matrimonio, ossia l’unione di maschile e femminile, in tutti gli aspetti della vita).
Non ho ancora raccontato del ramo paterno, le cui vicende gravitavano intorno al lago d’Iseo e alla Val Trompia, dove i miei genitori si sono poi stabiliti dopo il matrimonio. Qui, il passaggio da agricoltori a operai, reso possibile dal fiorire di industrie, soprattutto siderurgiche, nella zona, forniva maggiori sicurezze economiche rispetto alle prospettive contadine della provincia (l’attività turistica sul Garda non era ancora sviluppata).
Come ho scoperto recentemente, nell’anima di questi antenati si nascondeva una lacerazione profonda, data dall’aver rinunciato alle aspirazioni artistiche in nome di questa stessa sicurezza economica, chiamata sussistenza materiale (la convinzione diffusa era che “di arte non si campa”).
Mio padre da giovane era un ottimo cantante e mio nonno suonava l’armonica a bocca, amava la fisarmonica e scriveva segretamente poesie.
Anche io ho vissuto questo mito e ho provato a percorrere la strada della musica, scontrandomi con il mondo e la mentalità industriale (dove, apparentemente, la musica e l’arte non trovano posto), senza però l’energia necessaria per conseguire una netta vittoria (le questioni irrisolte nella genia rimangano in sospeso per i discendenti e, soprattutto quando non vengono portate alla luce, diventano destino).
È stato grazie a questo apparente “fallimento” (che ha permesso di portare alla luce questo mito famigliare – e collettivo) che è iniziata la mia avventura nel mondo spirituale – sciamanico e africano in particolare.
Sento profondamente che i geni paterni hanno sostenuto l’aspirazione spirituale inscritta nei “geni” materni fornendole una “base” materiale (l’eredità paterna e famigliare mi ha fornito le risorse economiche e finanziarie per realizzare questo progetto), e una sensibilità “artistica”, sebbene vissuta in forma conflittuale.
Secondo gli antropologi che hanno dedicato particolare attenzione alla cultura animista africana, quest’ultima è una “cultura materiale”, in cui le divinità abitano “luoghi fisici” – come le cose e gli oggetti che si trovano in natura (come alberi, pietre, fiumi), ma anche luoghi fisici prodotti intenzionalmente dall’uomo, come sculture e vasi di terracotta, che raccolgono al proprio interno miscugli d’erbe e altri oggetti, dove la divinità o entità invisibile dimora per affinità energetica.
Questi oggetti, definiti “dei-oggetto” dagli antropologi (e “feticci” dai missionari cristiani) condividono con l’opera artistica
- il fatto di nascere in un preciso momento e luogo (un dio-oggetto creato oggi, in Africa, è diverso da un dio-oggetto creato oggi in Italia, o ieri in Africa) e di ricevere le influenze sottili di questo momento e luogo di nascita (proprio come il campo energetico determinato dal tempo e dal luogo di nascita secondo l’astrologia)
- Il fatto che il suo creatore sintetizzi, in un gesto che avviene in un certo momento e luogo precisi, sapienze antiche e profonde (che ricordano antiche ricette culinarie)
- Il fatto che, una volta nata, l’opera diventi a tutti gli effetti un essere senziente e autonomo dal suo creatore (come qualunque opera d’arte che si rispetti)
Queste sapienze antiche ricordano il formarsi della vita all’interno dell’uomo (di un figlio ad esempio): non si tratta di un’opera d’arte? Per questo il percorso nella spiritualità africana viene detto “la via della vita”; e, in ultima analisi, nell’arte scorre la vita ed è quindi possibile che “di arte si campi”.