Nella mia esperienza professionale mi sono reso conto che ad oggi in Italia soprattutto nella piccola e media impresa di matrice famigliare mancano un orientamento e una vocazione alla leadership, resa più marcata dal difficile rapporto tra mondo lavorativo e mondo scolastico.
LAVORO E SCUOLA SONO SPESSO VISSUTE COME ANTITESI
“O studi o vai a lavorare” è la frase sentita dire più spesso dai genitori ai figli adolescenti – e questa spaccatura si riversa nelle aziende dove chi comanda si trova impreparato a gestire situazioni e sfide complesse e alla meglio inizia finalmente a fare quello che il sistema scolastico ideale dovrebbe mettere in condizioni di fare, ovvero imparare facendo (e spesso sbagliando).
Complice magari un’esperienza spiacevole degli anni scolastici, vissuti come un obbligo, un corridoio di verifiche e prove da schivare, in un perenne e inesauribile conto alla rovescia prima delle vacanze (passate magari a lavorare in qualche fabbrica), nei casi peggiori, l’avversione verso lo studio e l’argomento scuola diventa avversione verso la saggezza, e impedisce ai giovani imprenditori improvvisati di imparare dai propri errori.
La scuola stessa non ha aiutato a invogliare tali giovani esuberanti ad applicare le loro energie in canali creativi.
Spesso anzi è stata essa stessa l’ostacolo più grande, con i suoi giudizi e le sue punizioni.
Ne sa qualcosa Paolo Mottana che porta coraggiosamente avanti un rigetto della scuola attuale e un progetto per riformarla alla base.
Per quanto riguarda l’ambiente lavorativo italiano odierno, composto da aziende familiari alla seconda o terza generazione, la mancanza di conoscenza e consapevolezza della leadership è un tema rilevante da approfondire.
Il termine più appropriato sarebbe cultura della leadership, termine che già fa rabbrividire qualcuno per le ovvie associazioni a biblioteche, libri, scuole, teatri, luoghi su cui chi lavora in fabbrica ha spesso messo la croce da tempo.
MA È DI CULTURA CHE STO PARLANDO, SEBBENE IN UN’ALTRA ACCEZIONE.
Proverò a dare un altro significato al termine cultura, partendo dal fatto che nel rinascimento arti e mestieri erano la stessa cosa.
Ogni mestiere era un’arte e ogni arte era un mestiere e insieme queste due facce della stessa medaglia contribuivano alla cultura (e il patrimonio culturale del rinascimento italiano ci distingue ancora oggi nel mondo).
Dopo il rinascimento le cose si sono complicate e, per quanto ci interessa, le due sfere della cultura, arti e mestieri, si sono divise.
Tutto è stato sezionato e in nome della specializzazione ognuno è stato assegnato al proprio cubicolo, al proprio “ufficio”.
Basti pensare che oggi non c’è in italiano un termine appropriato che traduca per analogia la parola leadership. Nell’era digitale “leadership” in inglese corrisponde a “leadership” in italiano.
Mi rendo conto di passare per controcorrente. Non rimpiango né il rinascimento né il tempo in cui si premeva l’aratro anziché il “touch screen”.
Faccio invece capo a quelle cose che travalicano i tempi che corrono sempre più in fretta, quelle cose eterne, magari ammodernate o spogliate dei fronzoli dell’epoca in cui sono nate.
IN UNA PAROLA, PARLO DI MITI
Certe cose nella loro essenza vanno conservate e una di queste è la cultura e ciò che di essa può contribuire al patrimonio di un Paese o di una organizzazione come può essere un’azienda.
Per inciso, la parola patrimonio rimanda a pater, una delle colonne portanti di ogni persona; ma a differenza dell’imprinting materno, quello paterno è sempre, proprio come il padre, incerto.
A mio parere è necessario, a livello archetipico, che l’imprinting culturale si consolidi e si consapevolizzi, per bilanciare il radicamento negli umori del momento, senza solidità e direzione, di cui soprattutto il Nostro Paese è maestro.
CI SONO DIRETTORI E DIRETTORI
Ecco, direzione mi sembra la parola che più si avvicina alla nave-guida (leadership) inglese.
Direzione come strada da prendere e come centro di controllo.
Già nei due significati principali sta un’ambivalenza: la direzione si muove sulla strada intrapresa o sta ferma e controlla?
Ci sono diversi stili di leadership, insegnano gli anglofoni.
Per stare nel territorio linguistico italiano (e fedele all’unità tra arti e mestieri) ho cercato e trovato un parallelo nella direzione d’orchestra, che coltivo da anni per passione personale.
Anche qui ci sono diversi stili e modi di interpretare, oltre che la musica, la direzione stessa. Dal direttore dittatore (Toscanini) al direttore trasparente e quasi invisibile (Abbado) gli esempi abbondano.
Ho adottato quella del direttore d’orchestra come metafora del “direttore” aziendale (che di solito sta anche antipatico).
DUE PAROLE SULLE METAFORE
Esse aiutano a mettere in contatto due mondi apparentemente diversi e a farli dialogare tra loro, ricostruendo quell’eterno legame andato perduto dopo il rinascimento.
Proprio come quello delle arti e dei mestieri, ovvero della cultura e del lavoro, dell’azienda e della scuola.
Esistono è vero scuole di formazione aziendale e di leadership, ma credo che il problema sia più profondo e meriti un riguardo e un punto di vista più rispettoso verso le due fazioni che si contendono il fiume che le separa.
In più, ho notato che i direttori stessi usano delle metafore per farsi capire dagli orchestrali e trasmettere il loro senso dell’opera.
Per questo credo che sia importante restare al di là degli insegnamenti pratici o delle dottrine accademiche, e restare nel campo intermedio delle metafore, dei simboli e delle immagini, perché da sole possano evocare e trasmettere un messaggio e un significato diverso e pertinente per ognuno.
Per tale motivo sarò stringato nei commenti e lascerò che siano le metafore stesse a parlare e a trasformare chi è pronto a lasciarsi cambiare.
UNA PAROLA ANCHE SULLE PERFORMANCE SIGNIFICANTI.
Sbirciando dietro le quinte delle arti performative (ho fatto io stesso recitazione amatoriale per 7 anni), mi sono reso conto che ciò che rende un gruppo “eccellente” è una serie significativa di performance significanti, dove una serie di elementi concorre alla magia di quel momento.
È proprio quella magia che anche i direttori d’orchestra cercano di ricreare, superando tra l’altro una serie di limiti inimmaginabili (poche prove a disposizione, il rapporto con prime donne intrattabili, registrazioni, scadenze, tournée, direttori ospiti, orchestre giovani o non affiatate).
Nelle arti performative, tra cui musica e teatro, una performance della stessa opera può emozionare e trasmettere qualcosa di eterno al pubblico e un’altra interpretazione della stessa opera può lasciare freddi e deludere le aspettative.
Ciò che fa la differenza è il significato che gli interpreti riescono a estrarre, costruire e trasmettere al pubblico (e tra un passaggio e l’altro si nascondono questioni e problemi da risolvere).
È come un caffè estratto bene e uno estratto male dalla stessa qualità di grani.
INFINE, PERCHÉ ORCHESTRE “BEN TEMPERATE”?
L’espressione deriva chiaramente dal “clavicembalo ben temperato” di Bach, opera con la quale il pioniere settecentesco dimostrò empiricamente la possibilità di attribuire la stessa distanza a tutti i dodici tasti (sette bianchi e cinque neri) della scala di un pianoforte moderno.
L’equidistanza permetteva di suonare tutte le dodici tonalità che poggiavano sui dodici tasti liberamente e senza più bisogno di accordare gli strumenti in funzione di una particolare tonalità.
Anche nei tarocchi la temperanza è la carta che rappresenta equidistanza (ne parlerò più approfonditamente in un articolo).
Ben temperate perciò significa orchestre (e quindi organizzazioni) nelle quali è possibile suonare in qualsiasi delle dodici tonalità ed essere perciò pronte, reattive e flessibili alle sfide del momento. Significa, in sintesi, organizzazioni libere e snelle, non impedite da zavorre.
OPERATIVAMENTE
Ho sviluppato, grazie ai miei studi simbolici e astrologici, delle letture immaginali delle organizzazioni e degli ambienti aziendali, per restare nel campo delle metafore trasformative e organizzative (tra cui appunto quella dell’orchestra).
Ultimamente, ho trovato uno strumento efficace nel lavoro di Laurence Hillman e Richard Olivier sull’uso degli archetipi nelle organizzazioni.
I dodici tasti sono così diventati i dieci archetipi.