In ogni espressione estetica umana ci sono, o dovrebbero essere identificabili, un movimento di espansione e uno di contrazione, che riflettono i movimenti organici all’interno dell’uomo, a cominciare da quello più basilare di inspirazione ed espirazione.
La fenomenologia della musica è una “scoperta” compiuta dal direttore d’orchestra e musicologo rumeno-tedesco Sergiu Celibidache (1912-1996). Negli anni ’50, mentre dirigeva un brano, fu illuminato dall’idea di poter sentire “la fine nell’inizio” e da allora intraprese una ricerca contro corrente e contro l’aleatorietà delle interpretazioni musicali (e del mercato discografico che da questa “libertà interpretativa” traeva nutrimento).
Secondo Celibidache, infatti, non sta all’esecutore decidere autonomamente quale sia, ad esempio, il tempo più giusto (più veloce, più lento) a cui eseguire un certo brano: è il brano stesso a indicare le condizioni d’esecuzione, insieme alle condizioni del luogo fisico in cui avviene l’esecuzione (non è infatti lo stesso suonare in una cattedrale o in una stanza di venti metri, perché il suono si espande in maniera diversa). Celibidache elaborò e cercò di trasmettere ai propri allievi, attraverso lezioni e incontri informali, una ricerca sul suono e su come questo, in definitiva, possa, “sotto determinate condizioni, diventare musica”.
Nell’arco di quasi cinquant’anni Celibidache ha scandagliato ogni aspetto tecnico e musicale per generare spontaneamente questo accadimento (il suono che diventa musica), “sul quale non abbiamo nessun controllo”. Frutto di questo lavoro è l’insegnamento, che lui ha chiamato fenomenologia della musica, unendo filosofia occidentale e filosofia zen. Al di là di tutte le questioni tecniche e musicali, assolutamente interessanti, del suo insegnamento, l’aspetto rivoluzionario della sua prospettiva è l’ascolto e l’apertura al brano, al luogo e a tutti i fattori estranei all’interprete: secondo Celibidache, nella musica non c’è nulla, ma proprio nulla da interpretare, nulla da scegliere, nulla da compiere.
Questo è anni luce lontano da come siamo abituati a operare in ogni ambito della vita – attraverso scelte, decisioni aleatorie prese per istinto o secondo i sensi (“mi sembra meglio così, aggiusto un po’ di qua, ritocco un po’ di qua… ecco così va già meglio”): aggiustiamo qua e là, ma brancoliamo sempre nel buio e nell’incertezza, senza una vera convinzione e consapevolezza interiore di essere sulla strada giusta. Il metodo di Celibidache non è la panacea di tutti i mali, ma apre una prospettiva verso l’ascolto di ciò che sta fuori di noi: forse le cose che ci circondano e sulle quali operiamo hanno qualcosa da dirci su cosa vogliono essere, su come vogliono essere trattate, maneggiate, trasformate dalle nostre mani e dal nostro cuore. Si tratta proprio di un ascolto del cuore e di una sensibilità che ricorda molto da vicino quella animista (per l’attenzione all’anima del luogo, ma anche ai manufatti, i feticci o dei oggetto) così come quella alchemica (la cui meta, la grande opera, assimila le opere musicali a elisir d’eternità).
Altro aspetto che assimila la fenomenologia della musica a una cultura animista è la vitalità dell’insegnamento: Celibidache si è sempre rifiutato di codificare e sistematizzare questo “metodo” in forma scritta, perché, secondo lui, era un insegnamento di cui andava custodito l’aspetto “fluido” e “vitale” attraverso l’insegnamento diretto; ridurlo in un libro significava per lui traformarl0 in “lettera morta”. Questo lo assimila ai saperi esoterici come l’alchimia e l’animismo africano, che, come dice il termine, vengono trasmessi in forma orale da maestro ad allievo. Ancora una volta, non esiste un libro definitivo che glorifica il suo autore a spese dell’insegnamento stesso.
Se vuoi approfondire la fenomenologia della musica, del materiale attendibile e ben formulato si trova raccolto nella tesi di dottorato di un’allieva di Celibidache, Anna Quaranta.
Altra fonte attendibile sono i video-tutorial tenuti dal direttore friulano Francesco Gioia.
Oltre a ciò, ti invito naturalmente a prendere visione di tutti i documentari sullo stesso Celibidache, reperibili sul canale YouTube di Raffaele Napoli o di Francesco Gioia.
Se vuoi assaggiare (con l’orecchio) gli esiti musicali di questa “scoperta” ti invito a reperire, anche su YouTube, le registrazioni dei concerti di Celibidache (soprattutto quelle alla testa dei Münchener Philhamoniker), almeno per farti un’idea (Celibidache era contrario alla registrazione dei concerti, soprattutto quando finalizzata alla distribuzione in dischi, perché isolava l’aspetto ambientale proprio del luogo e del tempo in cui avveniva l’evento sonoro; accettava solamente, sebbene con molte riserve, le registrazioni come eventi storici che servivano, appunto, per farsi un’idea di come veniva eseguito, in un tal momento storico, quel tal pezzo).
Puoi infine ascoltare dei brani eseguiti da alcuni suoi allievi fedeli al suo insegnamento, come Christyna Kaczynski-Kozel e Alessandro Drago.
Senso della fenomenologia
Ogni ambiente ha il suo tempo
Il film-documentario "Il giardino di Celibidache", girato dal figlio del direttore prima della sua scomparsa, raccoglie alcuni dei suoi insegnamenti più profondi, nel suo solito stile
Celibidache dirige Debussy e Ravel con i Münchener Philharmoniker
Christyna Kaczynski-Kozel suona Debussy
Il pianista (allievo di Celibidache) Alessandro Drago spiega la fenomenologia della musica
Nei seminari esperienziali sulla fenomenologia della musica cerco di condividere questo tipo di ascolto facendo “circolare” gli aspetti puramente tecnico-musicali con altri più simbolici, in funzione dei partecipanti all’evento. Se ti interessa partecipare, cerca il prossimo evento nel calendario.