Il business per sopravvivere ha un disperato bisogno del contributo dell’arte. Creatività, fantasia, flessibilità, capacità di adattamento e di comunicazione, una certa tendenza visionaria e un’apparente insicurezza da sempre fanno parte della “dieta” di ogni artista; ma oramai, anche le imprese cominciano a capire che l’arte ha ben altro da offrire che una bella serata fuori casa o l’opportunità di una sponsorizzazione.
Richard Olivier, Enrico V, lezioni di leadership da Shakespeare
Oggi non solo le imprese, per riprendere la frase di Richard Olivier, hanno bisogno dell’arte, ma anche il mondo spirituale.
Richard Olivier è un regista teatrale inglese che per decenni ha adottato i drammi di Shakespeare nei propri seminari di formazione per i leader di grandi aziende (ho scritto più dettagliatamente in altri articoli). Crescere ed evolvere come leader significa, sotto certi aspetti, evolvere anche come persone e individui e ben presto diventare per forza di cose altruisti e interessati a un bene che trascende l’interesse personale (almeno in una concezione di leader condivisa qui).
Ma vorrei fare un passo avanti, partendo dallo spunto di Olivier.
Ciascuno degli eroi shakespeariani presi in esame da Richard Olivier (Re Lear, Prospero, Macbeth, Enrico V, tra gli altri), rappresentano diversi stili di leadership – stili di coscienza che la psicologia del profondo chiamerebbe archetipi. Oltre che il mito classico, anche l’arte ci offre una moltitudine di esperienze già vissute e in cui possiamo rispecchiarci. Questo è ciò che viene anche chiamato sciamanizzazione: ritrovare il proprio mito e, riconoscendolo, liberarsene. Questo è ciò che faccio nei consulti, negli incontri e percorsi di Life-coaching immaginale (per saperne di più, guarda il video a questo link).
C’è di più. Oltre che riconoscere il mito (o l’eroe shakesperiano) che viviamo, è possibile riconoscere e mettere in scena il mito (o l’eroe) di cui abbiamo più bisogno in una particolare sfera della nostra vita.
Richard Olivier ha messo a punto, insieme a Laurence Hillman (figlio del celebre James, fondatore della psicologia archetipica) un metodo di teatro archetipico: uno strumento utile e concreto per riprodurre, attraverso semplici ed efficaci tecniche teatrali, quegli “archetipi” che mancano nelle nostre abilità, per espandere il nostro repertorio, un personaggio alla volta. Il termine inglese per personaggio, “carattere”, aiuta a comprendere in termini teatrali il significato di archetipo: a volte ci servirebbe un carattere diverso per affrontare una certa situazione, carattere che non è semplicemente nelle nostre corde, e questo metodo ci aiuta a riconoscere e a “interpretare”, come fosse un personaggio a noi poco famigliare da mettere in scena. Questo è ciò che facciamo nei consulti, negli incontri e percorsi di Life-coaching immaginale.
Il termine stesso “persona” – quella persona che siamo soliti mostrare al mondo – deriva dall’etrusco “persu”, che significa appunto maschera. Per questo possiamo, se opportunamente istruiti, indossare più di una maschera alla volta.
L’utilizzo teatrale degli archetipi ci avvicina, sempre in maniera leggera, alla sfera del sacro. Come abbiamo già visto, i miti contengono diversi stili di coscienza che altro non sono che divinità. Agire con le divinità significa prima di tutto, e come abbiamo già visto nel video precedente (Selene video sei un mito) riportare le ns esperienze alla loro dimensione sacra: ogni esperienza è segnata da una divinità, che possiamo imparare a riconoscere e, in alcuni casi, a replicare.
In altri casi, si tratta in ogni caso di “riconoscere a quale altare fare l’offerta” per esaudire una certa richiesta, come avviene ad esempio nella cultura animista africana (per farlo si fanno dei consulti sciamanici, come quelli che faccio qui – link). Nella spiritualità africana l’arte occupa un ruolo di primo piano: i canti, le danze e il suono dei tamburi accompagnano i rituali e le offerte e sono utilizzati per invocare e “far scendere” le divinità sulla terra (anche fisicamente, ma questo è un argomento delicato di cui parlerò in un prossimo articolo).
Per attenerci al ruolo dell’arte, vi rimando a ciò che scrive il mio maestro Calixte a proposito dell’arte, della danza e delle percussioni nel suo blog (link).
Oltre che di eroi (shakespeariani e non solo) in cui possiamo rifletterci e ritrovare il nostro mito, l’arte è ricca di esempi di percorsi esistenziali e artistici nei quali l’apprendistato nell’arte diventa un vero e proprio sentiero iniziatico e spirituale. Possiamo trovare qualche esempio di questo nel personaggio di Rublev (dell’eponimo film di Tarkovsky) o del Maestro nel racconto “Il ritratto” di Gogol (link a tesina universitaria) o ancora del Maestro nel romanzo “il Maestro e Margherita” di Bulgakov.
Talvolta si tratta di percorsi iniziatici riconoscibili attraverso una lente simbolica e metaforica, e nei quali possiamo addirittura scorgere i tratti essenziali dell’operatività alchemica. e delle sue trasmutazioni. In altri termini, il percorso della gestazione dell’opera opera dei mutamenti interiori anche nell’artista, del tutto simili a quelli che gli alchimisti provano sulla loro pelle nel raggiungimento della Grande Opera Alchemica. Uno strumento molto prezioso per scorgere questi mutamenti è il contributo della pedagogia immaginale, che da anni si occupa di esplorare con occhio sensibile (quello ritorto degli artisti) alcune opere di artisti che, per mezzo dell’arte stessa, si sono elevati spiritualmente. Riconoscendole, in un certo senso le tappe si ripetono e sperimentano nuovamente (giacché si tratta di fasi e processi universali e comuni a tutte le tradizioni esoteriche).
Insomma, attraverso l’arte è possibile ripercorrere e ripetere il percorso esistenziale di elevazione sperimentato dall’artista, ma con il piacere e la leggerezza che si sperimentano quando ci si approccia all’arte. Puoi sperimentare questi percorsi nei seminari esperienziali sulla pedagogia immaginale o anche attraverso il sito e i materiali dell’istituto IRIS (uno su tutti il libro di Paolo Mottana, l’arte che non muore, Mimesis Edizioni).
Anche alcuni musicisti e in particolare direttori d’orchestra si sono distinti per aver fatto del loro percorso artistico un percorso di affinamento esistenziale e spirituale. ne sono un esempio Claudio Abbado o Sergiu Celibidache. Ho scritto diffusamente di cosa renda i loro percorsi particolarmente significativi. In questa sede mi limiterò a segnalare le profonde connessioni tra la fenomenologia della musica – lo studio del suono in relazione alla coscienza umana – e la spiritualità zen giapponese. Un esempio su tutti, il termine sanscrito Ekagrata, tradotto in inglese come “onepointedness” (e utilizzato per definire la possibilità della mente umana di considerare una sola cosa per volta, “un oggetto del pensiero alla volta”), ricorda molto da vicino gli stili di coscienza, le maschere archetipiche trattate prima: “evolvi la tua storia, amplia il tuo repertorio, un carattere/personaggio alla volta”.
Questa è anche una delle caratteristiche di ogni psicologia e cultura politeista: una divinità alla volta. Le culture politeiste, come ben evidenziano sia l’antropologo Marc Augé, sia James Hillman, sono più porose al nuovo e spesso anche alle immagini e alla carne (laddove le culture monoteiste definiscono “un modo” di praticare il culto e tornano stesso volentieri al verbo non ancora incarnato, il testo scritto). E cosa meglio dell’arte sa parlare degli dei?
Questi pochi esempi mi bastano a sostenere che abbiamo perso questa dimensione ludica, creativa, artistica della spiritualità così come della vita (giacché non c’è vera spiritualità senza un radicamento nella vita, che è alla base dell’anima). Per lungo tempo ho combattuto contro l’idea che la via spirituale debba per forza essere, sempre e in tutti i momenti, qualcosa di serio e pesante. Talvolta mi basta entrare in qualche chiesa per sentire la tristezza e il senso di colpa che emana dalla croce (non ho mai capito perché una fede che promette la resurrezione dalla morte prediliga utilizzare il simbolo della morte più che quello della resurrezione). L’aspetto artistico della spiritualità africana da al sentiero spirituale una nota più allegra, leggera.
Per concludere, l’arte ha un grande potere spirituale e curativo per l’anima. Un potere psicoterapeutico, nel senso originario del termine: psiché (Anima) e terapeia (cura).