Il rapporto tra la prospettiva nello spazio e la polifonia nel suono è stato sottolineato da Lowinsky, il quale ci ricorda che molte espressioni musicali sono mutuate dallo spazio (alto, basso, ascendente, altezza, scala, ecc). Analogamente, molti problemi musicali si riferiscono al rapporto tra l’uno e i molti, o ai rapporti delle molteplicità tra di loro (dissonanza, armonia, contrappunto, moto parallelo), sicché la loro risoluzione sottintende soluzioni psicologiche ai problemi delle tensioni policentriche nell’anima.
La polifonia, che si dice abbia raggiunto la sua perfezione nella musica sacra di Palestrina (1526-1594), può anche esser vista come un trionfo della coscienza politeistica in cui, a dispetto del contenuto e del fine dichiaratamente cristiani, la struttura della musica è tale “che è impossibile decidere a quale voce è assegnato il compito più importante, giacché tutte sono egualmente necessarie all’effetto generale.”
[…] Due fattori contribuirono alla condizione psicologica che rese possibile la nuova musica: le idee del platonismo e i miti dell’immaginazione classica. Quando nel 1607 Monteverdi scrisse l’Orfeo, prima vera opera della nostra tradizione occidentale, lo fece con l’idea di ricostituire la tragedia antica – e quest’opera riflette la storia della discesa di un amante nel regno della morte per trovare l’anima.
James Hillman, Re-visione della psicologia, Adelphi, Milano, 1976
Ho scelto di riportare per intero queste citazioni per raccontare perché ho scelto di adottare l’orchestra come simbolo dell’anima.
C’è in realtà un aspetto personale, legato al fatto che ho sempre desiderato diventare un direttore d’orchestra e ciò che me l’ha impedito ha finora diretto la mia vita, portandomi ad essere ciò che sono.
La mia passione per la musica sinfonica, sempre viva e bruciante accompagnatrice dei miei giorni, mi ha tuttavia permesso di scoprire la magia che nasce talvolta in un’esecuzione orchestrale.
Che il merito sia degli orchestrali o del direttore o della sala o del pubblico o della musica (o di tutti questi elementi e altri ancora) poco importa. Sta di fatto che l’orchestra è quel luogo dove avviene qualcosa di inspiegabile, per cui tante persone unite da un intento comune creano qualcosa di bello e di vero.
Quello che succede in un’orchestra esprime bene anche la condizione di vita (e anima) ben temperata, nella quale non esiste una voce di più importante delle altre: nessuno strumento è davvero più importante degli altri, ma ogni strumento contribuisce nel momento in cui è necessario, dando se vuole il meglio di sè per il tempo che gli è concesso. Voi direte, chi glielo concede? Il direttore? Il brano musicale? A ben vedere neppure il brano musicale né il direttore sono davvero più importanti o più necessari di altri. Vedremo che esistono orchestre senza direttori o brani che coinvolgono più direttori e più orchestre
Questo ci porta a dire che esistono delle condizioni percepibili, e altre impercettibili, che concorrono alla realizzazione della magia che avviene in un’orchestra (che i più chiamano spettacolo).
Vedremo con la fenomenologia musicale che il tempo di esecuzione dipende anche dalle condizioni climatiche e acustiche del luogo, che possono ispirare degli esecutori attenti e sensibili a scegliere tempi e dinamiche più o meno lunghi (link a video con Celibidache fauno Debussy – da confrontare con altre esecuzioni più veloci). Lo stesso avviene per grazia di direttori abili nel trovare all’interno del testo dinamiche e contrasti che possono accrescere la tensione prendendosi più tempo (è il caso delle esecuzioni di Bernstein di opere di Mahler, Chaikovsky, Dvorak).
Abbado chiama addirittura in causa il pubblico, quando sa attendere di sua spontanea volontà il momento giusto prima di applaudire (Bernstein chiese addirittura agli organizzatori di un concerto in memoria di sua moglie che il pubblico non applaudisse alla fine del concerto).
Il direttore emette gesti ma non parla né emette suoni; potrebbe mai il direttore fare qualcosa senza orchestrali o cantanti?
Certamente il direttore gestisce la complessità polifonica.
Polifonia significa moltitudine di voci e caratterizza la musica a partire dal cinquecento. Per introdurvi alla polifonia, vi invito ad ascoltare l’aria “bella figlia dell’amore” di Verdi, ripresa nel film “amici miei”.
Come si vede, alcuni imitano l’orchestra, mentre altri cantano voci diverse, ognuna delle quali ha uguale peso. Certamente la parte orchestrale potrebbe essere tolta, ma toglierebbe spessore, fondamenta, quelle che in musica vengono chiamate armonia.
Quindi, per creare armonia servono più voci, altrimenti c’è la monotonia, una sola voce. Più la musica è ricca di voci, meno esaurisce i suoi significati e il suo tempo (per questo la musica classica non tramonta mai, che piaccia o meno).
Ci sono compositori maestri della polifonia – come Bach, che mette in musica fino a 4 voci diverse alla tastiera. Inutile dire che più aumentano gli strumenti, più aumentano le voci e quindi la polifonia. Più aumentano le voci, più aumenta la complessità che il direttore deve gestire. Nell’opera (il melodramma), oltre alla voci c’è il movimento in scena degli attori cantanti, altro aspetto da tenere in conto.
Trovo che l’orchestra sia un simbolo dell’anima ben temperata, condizione che secondo Marsilio Ficino è una condizione di salute psichica, come egli esprime in numerosi scritti, raccolti da Thomas Moore, altro psicologo del profondo e musicista, nel capitolo “la vita ben temperata” di Pianeti interiori, l’astrologia di Marsilio Ficino. A tal riguardo vedi articolo.