Cosa hanno a che fare il mondo orchestrale e la spiritualità africana?
Questo progetto nasce dalla volontà di conciliare esperienze molto diverse, come la passione per la musica sinfonica e le incursioni nella spiritualità africana.
Soltanto col tempo mi sono reso conto che quello che legava questi due temi è la visione politeista (e immaginale).
Un’orchestra, con le sue diverse “voci” suonate dai diversi strumenti, rappresenta bene il modo pensare di culture politeiste come gli antichi Greci o appunto la spiritualità africana.
Pensare in termini di “molti Dei” non è così scontato né immediato per una cultura come la nostra, abituata da almeno due secoli a rapportarsi a un solo Dio. Per noi è molto difficile pensare che ci possa essere un’altro Dio all’infuori di me”. Dai tempi in cui Mosè scese dal Sinai con le tavole della legge, molte cose sono cambiate, una su tutte la morte di quell’unico Dio, superato dalle conquiste della ragione, della filosofia e della scienza umane. Non ci è rimasta che quella particella, “me”: Dio è diventato il nostro “Io” personale, con tutte le sue limitazioni umane, troppo umane.
Il crollo dei movimenti politici (una speranza di trovare un’alternativa a questo io solitario nel “noi” imposto dall’alto), non ha certo risolto le cose. Uscito vittorioso dal comunismo, questo io si è trovato ben presto esposto a tutti gli eccessi del consumismo, uno fra tutti il bisogno di colmare la sua solitudine con una socialità questa volta appiattita e orizzontale;, nel quale l’apparato medico-scientifico-tecnologico, tanto la salvezza promessa dalle grandi religioni monoteiste (troppo simili al vecchio Dio sconfitto), sembrano fornire altro che una magra consolazione.
Una soluzione sembra venire da quello che, per troppo tempo, è rimasto inespresso e relegato nella categoria “antico”, o addirittura “antiquato e primitivo”.
Antropologi come Marc Augé, psicoterapeuti come James Hillman e teologi quali David Miller si sono interrogati su come quasi due millenni di cultura Cristiana abbiano modificato il modo di rapportarsi al Divino.
A forza di considerare il proprio modo come l’unico, ovvero quello giusto, il migliore, la mente pagana e politeista è stata per molti secoli ritenuta “primitiva” o “antecedente” (e quindi meno evoluta) rispetto a quella monoteista, e così anche le culture (animiste e sciamaniche) che l’hanno incarnata (come appunto quella greco-romana o quella africana).
Oggi l’antropologia, la psicologia del profondo e la teologia (almeno quella di frontiera), riconsiderando questo assunto sullo sfondo di questi duemila anni, hanno liberato la mente dalla tirannia del monoteismo e aperto la via del ritorno al pensiero pagano e politeista. I vecchi dei, mai del tutto sepolti, tornano a farsi strada.
Ma la strada è lunga e per ora se ne intravede solamente la meta: una mente più aperta a nuove forme di coscienza e a stili di pensiero. Questa è la caratteristica e il beneficio principale di una “mente politeista”: la possibilità di trovare infinite possibilità di ritrovarsi nella propria autentica esperienza. Nella mente politeista non c’è qualcosa come una normalità, che fa il verso a normatività: non c’è qualcosa di anormale, atipico, perché esiste un’immagine per ogni esperienza.
La psicologia archetipica di James Hillman è stata ed è un mezzo eccelso per esplorare questa strada e le libertà che essa promette. Un’altro modo, quello che ho scelto di affiancare alla psicologia archetipica, è la via estetica e immaginale, che passa dall’arte e, in particolare, dalla musica sinfonica e dalla direzione d’orchestra. In un’orchestra, ogni voce (strumentale o vocale) esprime l’esperienza e il vissuto autentico del personaggio (o del timbro dello strumento, con le sue sfumature), e non c’è uno strumento che “dica qualcosa di più” di altri, o sia più essenziale di altri: tutta la “cattedrale sonora” sta in piedi grazie a tutti gli strumenti e a tutte le voci (chi con l’armonia chi con la melodia) senza un principio classificatorio.
Riconosco l’indubbio aiuto che mi ha fornito questo approccio “poetico” nell’addentrarmi nel fitto bosco della spiritualità africana, popolato da dei, spiriti ed entità invisibili il cui numero è indefinito e forse infinito come lo spazio.
Ho esplorato in diversi articoli le analogie fra il mondo della musica orchestrale e quello della psicologia archetipica e della mente politeista, in particolare attraverso le formulazioni di James Hillman (Re-visione della psicologia, 1975) e di Thomas Moore (La vita ben temperata all’interno di Marsilio Ficino). Trovi questi articoli sfogliando la categoria “La vita ben temperata“.
La via estetica passa dall’arte e dalla capacità delle opere di simboleggiare, ovvero di parlare un linguaggio fatto di immagini (dalla forte componente simbolica) anziché di parole.
Per tale motivo concludo questo articolo con un’esperienza estetica: la visione del film “Prova d’orchestra” di Fellini (qui il film su Raiplay, basta solo registrarsi, gratuitamente), dove tutto quanto ho scritto è… all’opera.