Orchestre ben temperate è il mio ideale profondo e riguarda la possibilità di organizzare la vita di gruppo senza il bisogno di un leader. Questo si riflette anche nella vita individuale, dove le varie voci dell’anima spesso soggiaciono a un potere centrale che la psicologia chiama Io, che impedisce a ciò che si discosta dal sentiero conosciuto di esprimersi e prendere iniziative e decisioni per tutte le altre voci.
La vita ben temperata immagina invece la possibilità che qualunque voce prenda iniziativa e guidi il gruppo, proprio come le rondini in cielo che si danno il cambio alla testa dello stormo che migra, a seconda del vento e delle condizioni esterne – o semplicemente per ragioni insondabili e mosse dall’istinto.
Proprio come l’io nella mente, anche qualsiasi leader, per quanto eroico, resta sempre umano, troppo umano e non può prendersi carico di tutte le decisioni. Per questo, anziché prendere decisioni che mantengano lo status quo per sua personale convenienza (incluso il prestigio di non dover ammettere la propria limitatezza) può lasciare che altre voci, sopraggiunte dall’inconscio, rispondano alle sfide del momento.
La natura, e non solo le rondini, ci insegna e stimola a tornare a stili di vita naturali, dove il bisogno di controllo da parte dell’io ceda il posto alla convivenza con la moltitudine e la complessità delle situazioni e delle forme.
Lasciare libero corso all’istinto, così come a forme di organizzazione prive di leader e decisori, è qualcosa che fa paura e risveglia scenari caotici vicini alle varie esperienze anarchiche, romantiche, rivoluzionarie che la storia ci consegna, insieme ad insegnamenti del tipo “il potere rassicura”. In realtà, ciò che la storia ci trasmette da quando è nata (con l’invenzione della scrittura) è una forma di sapere basata esclusivamente su ciò che è visibile (a cominciare dalla scrittura, che ne decreta acriticamente la nascita). Ciò che non è scritto, e quindi non è visibile, è spostato in un mondo invisibile, primitivo, preistorico, con tutte le tradizioni popolari trasmesse a voce e altrettanto vive della cultura “ufficiale” – quella scritta, appunto.
Per questo, ciò che è invisibile – e che in ultima istanza riguarda la morte, ciò verso cui andiamo, ma anche ciò da cui proveniamo prima di cominciare la nostra storia visibile – ciò che è invisibile agli occhi è anche l’aspetto spirituale, sacro dell’esistenza.
Esistono le religioni, i miti, e tutto ciò che ci ha trasmesso la tradizione scritta, ma esistono anche le tradizioni popolari mantenute nei dialetti e nelle usanze locali, e questa fonte di sapere, legata al mistero, alla tradizione orale, è l’aspetto più sacro dell’esistenza, proprio perché è mistero, ed è mantenuto dalle correnti misteriosofiche che tramandano questo sapere in forma viva, naturale, spontanea e, appunto orale.
Lo storytelling, l’arte di raccontare storie, è una delle principali abilità dello sciamano, figura guida delle civiltà cosiddette tribali e primitive, che ha un accesso diretto alle dimensioni dell’invisibile. Questa figura è ancora oggi presente in molte regioni del mondo, dall’Africa all’Asia al Sudamerica alla Siberia e alla Mongolia, dove le comunità che si raccolgono intorno a lui vivono in comunione con la natura e in uno stato di abbondanza e felicità naturale.
La cultura animista che, nonostante le difficoltà, essi portano avanti prevede una moltitudine di divinità che interagiscono fra loro e realizzano il massimo bene per la comunità che, attraverso lo sciamano, instaura un dialogo con loro.
Esse non litigano, e quando lo fanno, lo fanno per amore degli uomini, che le riconoscono e offrono in sacrificio a ciascuna di esse.
Ciò che lega uomo e divino è un legame d’amore chiamato Fede, Fede nell’invisibile.
Attraverso questa fede è possibile creare in unione con il divino e, uniti con il divino, non si può che creare un gruppo e una vita sociale in cui le decisioni sono prese con assoluta fede negli eventi. A volte gli eventi sembrano contrari alla nostra felicità, perché seguono la via e le ragioni dell’Anima, che non sono le ragioni dell’Io, questo eroe
Nella psicologia del profondo, una corrente ai confini con la psicologia accademica, nata parallelamente alle ricerche di Freud, l’attenzione all’aspetto sacro prende la forma delle varie figure del pantheon mitologico greco antico (ricordiamo che lo stesso Freud, da cui partì poi la psicologia più scientifica, basò molta della sua ricerca sulle figure mitologiche greche, nonostante molti sostenitori dell’approccio scientifico non vogliano ammetterlo).
Uno scrittore come Marsilio Ficino, esponente di quel movimento rinascimentale che ha riscoperto la letteratura e il mito greco antico, scrisse in un frammento d’opera (ricostruito da Thomas Moore nel libro…) che le divinità non vogliono essere adorate, ma riconosciute e cita a questo proposito il mito del giudizio di Paride, costretto a scegliere fra tre dee e a subire le conseguenze per la sua scelta. Per Ficino, di fronte a una scelta fra dei, bisogna sceglierli tutti. Cosa significa? Ci viene in aiuto James Hillman, fondatore della psicologia archetipica, che nel suo saggio “Re-visione della psicologia” ci dice: Le divinità non vanno scelte a priori, ma ciascuna per il momento in cui chiama e si manifesta attraverso gli eventi. Scegliendone una, scrive, si scelgono tutte.
Quindi per organizzarsi in maniera ben temperata seguendo l’esempio della natura (che non prende decisioni a priori ma si dispone in orizzontale come in verticale secondo l’istinto) serve la fede nel sacro, nell’aspetto invisibile della natura, secondo quelle intime corrispondenze che artisti particolarmente sensibili hanno aiutato ad emergere nella loro opera. Essi, veri e propri mentori immaginali, possono aiutarci al pari della natura stessa, delle tradizioni animiste e sciamaniche trasmesse oralmente e della psicologia del profondo, da cui sono nate in seguito la psicologia (e astrologia) archetipica (James e Laurence Hillman) e immaginale (SCW).
Allo stesso tempo autori come Shakespeare raccoglie tradizioni orali del suo tempo e le mette per iscritto nei suoi copioni. È detto anche Bardo, proprio come le figure dei cantori che raccontavano storie, o degli sciamani. Lo stesso si può dire per altri artisti che si sono contraddistinti per l’incapacità di lasciare resoconti scritti dettagliati del loro sapere, affidando la loro eredità all’insegnamento orale e alla trasmissione di un sapere “organico” e “vivo”, proprio come gli. Penso a direttori d’orchestra quali Abbado, Bernstein e Celibidache, di cui esistono documentari che ne ritraggono dal vivo lo spessore umano e spirituale, oltre che artistico e professionale, che li avvicina a sciamani. Vederli all’opera con la giusta prospettiva ci permette di assorbirne l’esempio in maniera fluida, dinamica, invisibile e organica e avvicinarci all’ideale di orchestra ben temperata che le loro compagini hanno incarnato naturalmente e senza alcuno sforzo.