Se sei alle prese con un progetto o un lavoro di squadra a qualsiasi livello – dall’organizzazione aziendale (nel suo insieme o nei suoi comparti) alla ristrutturazione di una casa o alla gestione di alcuni collaboratori in un negozio o in un’attività – saprai benissimo quanto sia necessario nutrire costantemente il “fattore squadra” con la fiducia e la lealtà tra i collaboratori (non parlo qui di motivazione, perché se manca quella è forse necessario fare un passo indietro e chiedersi quale sia l’obiettivo perseguito dal gruppo o dal suo fondatore). Lo “spirito di squadra” è a tutti gli effetti uno “spirito” che è possibile avvicinare con gli strumenti propri dell’invisibile e dell’impalpabile.
Ho collaborato per dieci anni in un’azienda famigliare, partecipando a tutte le decisioni strategiche e a tutte le mosse operative che l’hanno resa, di lì a poco, una realtà importante e affermata a livello internazionale. Certo, l’imprinting famigliare della dirigenza è rimasto quello – le radici non si smentiscono – ma proprio da questa esperienza ho potuto comprendere le relazioni nascoste esistenti tra la storia aziendale, con i suoi eroi epici e fondatori, e ciò che muove i fili dell’organizzazione nel presente e verso il futuro. Qui ho iniziato a scoprire e sperimentare come, lavorando sulle radici profonde della famiglia a livello individuale, stavo in realtà smuovendo blocchi atavici e, di fatto, alleggerendo sensibilmente la struttura, tanto da permetterle di prendere il volo verso il suo futuro (ciò che fin dalle origini era destinata ad essere nei desideri più reconditi di chi per primo aveva immaginato quell’impresa).
Gli antenati non sono quadretti da tenere sul mobiletto, né quadri appesi in qualche sala commemorativa, ma sono forze che ancora oggi muovono profondamente i fili e che possono dare un contributo sottile, invisibile, in altri termini essenziale allo sviluppo aziendale. Spesso gli antenati sono le cause invisibili che creano grandi ostacoli (massi o addirittura montagne sulla strada del successo) o le condizioni per fare grandi salti in avanti (come quando improvvisamente inizia la discesa e ti lasci semplicemente trasportare dalla corrente, senza fare resistenza). Essi creano blocchi energetici quando non vengono ascoltati, ma ti permettono di volare quando li riconosci e fai di loro i tuoi alleati.
Se vogliamo guardare la cosa da una prospettiva analoga, ci si può dar da fare per smuovere le montagne e produrre i cambiamenti necessari a ogni evoluzione e a ogni sviluppo, ma con sforzi personali ed economici ingenti e che, comunque, non fanno altro che aggirare il “problema” (se c’è un nodo nella struttura e la struttura si allarga, il nodo non fa che allargarsi con essa, e anche se lo si elimina, questo ha ormai il suo posto, che prima o poi qualche altro nodo non tarderà a sostituire).
Al contrario, per restare nella metafora, è possibile “chiedere alla montagna” (la causa “invisibile” che crea il nodo, e il peso) di spostarsi e di aprire la strada al successo a cui ogni gruppo, dalla sua fondazione, aspira.
Quello che porto, attraverso i miei interventi all’interno delle aziende e dei gruppi, è la poesia della discesa, quando non serve più alcun sforzo personale per realizzare gli obiettivi condivisi dal gruppo e tutto avviene in uno stato di flusso e di leggerezza tali che si smette addirittura di chiamarlo “lavoro” e si inizia a chiamarlo “piacere”.
Il mio modo di operare all’interno delle aziende o dei gruppi varia da realtà a realtà, ma in ogni caso comprende l’utilizzo di diversi strumenti acquisiti durante il mio percorso e la mia esperienza professionale.
Le arti, la psicologia archetipica e le culture animiste affinano la capacità di guardare le persone e il mondo con cui interagiamo con occhi nuovi e privi di giudizio. Chi altro è un leader (o un direttore d’orchestra) se non chi sa vedere (o sentire) ciò che altri non vedono?